Nella vita di un Soprano freelance, come me, accade veramente di tutto, e ormai lo sa-pe-te! 

Ma quella che vi sto per raccontare è una delle avventure più incredibilissime che mi siano mai capitate. 

Lo so, lo so che questa frase ve l’ho già detta, ridetta e stradetta un sacco di volte, ma smuovendo le acque del passato emergono spesso tesori nascosti di cui avevo dimenticato la bellezza. 

Questa volta, dunque, vi racconterò di quando intrecciai la mia voce con i suoni di terre sconosciute, vagando in un eterno canto sospeso nella voce profonda di Madre Natura.

Ma com’era cominciato tutto?? Riavvolgendo il filo della vita, prima che Cloto Lachesi e Atropo scocchino lo zac definitivo con la loro… 

Eh, dai, che trash Borin! 

Preferisci ascoltare il podcast? Eccolo qui, letto da me:

Dicevo, riavvolgendo il filo della vita, è divertente notare come ogni evento ne abbia poi portato ad un altro. 

È bello capire come ogni situazione, gradevole e sgradevole che sia, sia stata necessaria per creare quella successiva, e poi quella dopo ancora e quella dopo e così via.

Insomma, la mia vita è una serie di scatole cinesi, un’avventura dentro l’altra! 

Il motore che mi spinge ad andare avanti? 

La mia curiosità, di scoprire nuovi aspetti di me, di mettermi alla prova, scavare nuove strade in cerca di nuove idee, nuovi orizzonti, nuove sensazioni per il tesoro più grande da conquistare: la conoscenza e la consapevolezza.

Ma… da dove iniziare quest’avventura incredibilissima? 

Beh, è difficile a dirsi, o forse no! Semplicemente…un giorno accadde che giunse a casa un pacco con dei cd omaggio. 

Uno di questi s’intitolava Shalom e conteneva un bel pò musica Klezmer. 

Si si, ora mi spiego meglio! Allora la musica Klezmer è un genere musicale tradizionale degli ebrei aschenaziti dell’Est Europa

Una meraviglia di disco che ascoltai centinaia di volte. Trascorsero 15 anni dal giorno in cui arrivò quel pacco, e giacché organizzavo un festival di musica Tradizionale, decisi di scrivere all’indirizzo nella copertina dell’amato cd per rintracciare i musici e invitarli ad esibirsi al Festival. 

Conobbi, dunque, Claudia, toscana dagli occhi azzurri, compositrice e polistrumentista fantastica, che sapeva far suonare anche la sua gonna e che merita prossimamente un podcast tutto per lei ( e lo farò) 

Comunque, alla serata che fece nel festival di musica delle tradizioni, tra il pubblico vi era un signore molto interessato alla musica tradizionale…

…. che poi chiamò a sua volta questa grande artista nella sua rassegna. Ovviamente io andai ad ascoltarla. Fu lì che Claudia mi fece cantare assieme a lei il bis del concerto con la musica del cd che tanto avevo ascoltato. Che sogno!!!!

Da lì, poi Giuseppe, così si chiama l’organizzatore, mi propose di collaborare con lui, poiché era anch’egli musicista (diplomato in flauto traverso). 

Ecco che quindi il prologo è fatto e può cominciare questa storia incredibilissima! 

Un giorno soleggiato giunsi nella casa di questo artista che abitava nella via delle ciliegie. Ero un po’ emozionata perché avevo compreso che si trattava di un artista originale e temevo di non essere all’altezza, perché, va bene uscire dalla zona di confort, ma la specializzazione fa esperienza… e io sono lirica, mica so tutto! 

Dopo qualche breve chiacchera di benvenuto mi condusse in una sala al secondo piano inondata dalla luce del pomeriggio e dal profumo di legno, in cui custodiva suoi strumenti in un baule dalle semplici linee: una collezione di strumenti a fiato, più di 200 provenienti da tutti gli angoli del pianeta. 

E come un Vaso di Pandora il suono del vento prese la forma di un Duduk (Armenia), della Fujara (Slovacchia), del Bansuri (India), del Digeridooo (Australia), della Sansula, del Bodhràn, della Mandira, la Satara e una varietà infinita di flauti da ogni parte del mondo.

strumenti musicali

Ps  Borin ma sei sicura di averli pronunciato bene i nomi di tutti questi strumenti?

Mmm, no, ma so cantante mia etomusicologa!

Con gesti fluidi e pieni di amore, quasi sacrali faceva emergere uno alla volta quegli inestimabili manufatti dai quali uscirono vibrazioni nuove per me quasi prodigiose.

E conobbi il timbro di suoni senza tempo che hanno il sapore della Madre Terra…  

Ascoltai Gli echi dell’Africa e dell’oriente, le profondità del mare, dei monti dell’Himalaya, il fruscio di un battito d’ali che mi apparvero come delle piume di fenici variopinte. E come in una scatola magica tutti i suoni del mondo sembravano essere racchiusi lì, in quel baule davanti a me.

Le armonie di Schubert, Schuman, Monteverdi, Rossini, Verdi nulla hanno di meno o di più, la musica nelle sue varie forme si esprime con la potenza primordiale della creazione.

Ma, in quel pomeriggio mi sembrò di essere a contatto con la purezza della nostra terra, di nostra madre terra, ed ero talmente incantata da tutto che non ebbi forza di parlare e mi sentii dispersa nell’immensa vastità della creatività umana. 

Come in un lungo incanto per quelle ore continuò il perpetuo vagare di suoni e sensazioni. 

Giuseppe con grande maestria creava melodie meravigliose da ciascuno dei suoi flauti.

Se la musica è la colonna sonora del passato, gli strumenti musicali rappresentano per me la Natura, si la Natura, che si offre in legno e metallo; è il regno animale che si immola all’intelletto dell’uomo. 

Ed è l’uomo stesso che piega la materia al suo volere per plasmare lui stesso la vibrazione creatrice. 

Crebbe in me il desiderio irrefrenabile di far parte di questo nuovo volteggiare sonoro. 

Iniziammo così a provare, ma ero in un territorio affascinante sconosciuto, unica risorsa lasciarsi andare. 

Ma come? Come fare? E la tecnica, gli anni di studio per fare bene, come da manuale, come da stile, come facevano le cantanti prima di me… 

Non mi importò più di tanto! Che occasione unica per poter esprimere un se musicale intimo, al di fuori degli schemi, fuori dai canoni, e lontano dai giudizi.

Cioè, capiamoci, le male lingue se vogliono sempre possono esprimersi, lascio libertà anche serpi di essere se stesse, che ecumenica la vostra soprano free lance preferita, eh?? 

Con entusiasmo dopo quel pomerigggio, nacque l’idea di un’esibizione assieme, un concerto estivo presso il rifugio di Campo Grosso vicino Recoaro Terme, nella montagna, e, forse, oggi posso dire anche per la montagna. 

E fu così che lì, in mezzo agli alberi a più di 1457 metri di quota con il pubblico seduto sull’erba cantammo, con gli alberi che, come quinte naturali, offrivano protezione e supporto, definendo quasi una linea di confine di un cerchio magico entro cui ogni cosa poteva essere creata.

Che meraviglia quegli alberi centenari, me li figuravo come armigeri saggi, alti e fieri, custodi del suono primordiale. In questo spazio vennero lasciate libere di emergere le sonorità del Gong, dei flauti scelti da Giuseppe per l’occasione. 

Anche la mia voce risuonava improvvisando melodie per incanto, in un ondeggiare senza sosta tra le note gravi e quelle acute, nella vibrazione del tempo sospeso. 

E chiusi gli occhi e diventai solo mente, mi costrinsi a non pensare per improvvisare e lasciarmi andare, divenni solo voce, solo udito, mi dispersi nel soffio del vento 

Non dimenticherò mai quella sensazione di pienezza e i sorrisi soddisfatti di noi e della nostra collaborazione felice. 

Poco tempo dopo, venni invitata ad una serata culturale per ascoltare il canto di Lama Geshe, e sempre Giuseppe alla fine mi chiamò dal pubblico a condividere con loro l’ultimo brano.

Appena giunta sul palco il monaco dallo sguardo gentile mi omaggiò con una sciarpa bianca che, dopo essermi inchinata, mi mise attorno al collo.  

Il Lama iniziò con un timbro grave quel suo canto spirituale di cui non conoscevo il senso, ma da cui percepivo emergere tutta la forza della voce unita alla preghiera. 

Mi sentivo impietrita, e mi domandai cosa io, così piccola e povera di esperienza, potessi fare il quel contesto che mi sembrava più grande di me.

Come improvvisare, su cosa? Un pensiero mi attraversò la mente

Che cos’è la voce se non l’Alfa e l’Omega? Il limite ultimo tra pensiero e materia? Cos’è se il canto non il suono e la vibrazione dell’universo? 

E poi il suono non va direttamente allo Spirito? Non è esso stesso Spirito, cioè Lògos e Verbo

Canta dunque con il cuore e canterai bene.

E così, tra questi pensieri e il terrore del pubblico davanti che si aspettava chissà cosa da me, di nuovo chiusi gli occhi e mi rifugiai dentro di me e diedi libero sfogo al mio animo, mi sentii sollevare in alto come Ganimede, in alto sempre più abbracciato ed abbracciante nelle forti ali di Zeus padre. 

Su quel palco diventammo solo suono, tutti fluttuanti nelle armonie delle nostre coscienze, per qualche istante disperse nel vento cosmico. 

Questa, dunque è un’avventura originale e particolare, fatta da suoni senza tempo in cui la mia voce si è intrecciata con i timbri sconosciuti provenienti da terre dai profumi e dai colori che ho visto senza vedere.

Per cui, un giorno accadde che la via intrapresa mi condusse a duettare col vento di paesi lontani e, volteggiando, mi portò a mescolare la mia voce con il suono degli alberi, con le preghiere antiche del Tibet. 

E così, dimentica delle parole, diventando voce pura, rimasi per qualche istante in volo, sospesa a mezz’aria, che al solo ripensarci ancora una pura gioia brilla nel mio cuore. 

Alla prossima.

PS ringrazio di cuore Giuseppe Dal Bianco, artista dalla creatività senza tempo, per tutti i meravigliosi momenti musicali assieme. 

Lavorare con lui è stato come cantare col vento. 

www.giuseppedalbianco.it

3 thoughts on “52 Cantare col vento”

  1. Che storia bellissima e raccontata così bene! Mi hai fatto scorrere ricordi, momenti, emozioni.
    Per me tutto quello che descrivi ormai è pane quotidiano e quasi mi meraviglia e mi commuove il tuo racconto che sembra fatto da una bambina che apre un baule pieno di sorprese e cose nuove da esplorare.
    Anche la mia storia di musicista è fatta di incontri, tanti, tantissimi, sempre molto belli e interessanti.
    Incontri avvenuti soprattutto grazie ai miei “strani” strumenti musicali, al mio “perpetuo vagare” nei paradisi della musica.
    E ogni incontro è sempre esperienza e ricchezza culturale che accumuliamo e ne facciamo tesoro.
    Quindi sono qui a ringraziarti per esserti prestata ad una breve ma intensa collaborazione, e ancora di più il mio ringraziamento ora è più sentito dopo aver letto questo tuo bellissimo racconto.
    Con gratitudine e affetto ti abbraccio,
    Giuseppe Dal Bianco

  2. Alessandra, sono affascinata dalla bellezza e dall’intensità delle tue esperienze, fino a sentirti un tutt’uno con l’armonia della voce e del suono
    del mondo. Grazie perché nei tuoi racconti fai viaggiare in questo sogno anche me. Anna Maria

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