Nella vita di un soprano freelance, come me, accadono un sacco di avventure fantastiche e questa, che vi sto per raccontare, viaggia sospesa tra il tempo e la realtà in una dimensione altra che quella del teatro e, dunque, del sogno.
E, se non fosse che lo ho vissuta davvero, io stessa ci crederei per metà.
Ma, gentili signori, iniziamo con ordine.
C’era una volta in un paese lontano lontano, anzi, in realtà non troppo lontano ma vicino, sul lago di Garda precisamente… ebbene, in questo piccolo paese lontano lontano nel tempo, visse un bandito soprannominato Zanzanù, il cui vero nome era Giovanni Beatrice (Gargnano, 23 aprile 1576 – Tignale, 17 agosto 1617).

Se per la maggior parte di voi questo nome non risuona per nulla familiare, Giovanni Beatrice – alias Zanzanù – è una figura entrata da ben quattro secoli nell’immaginario della gente del Garda e che, all’inizio del Seicento, per più di quindici anni, tenne in scacco la Repubblica di Venezia.
Preferisci ascoltare il podcast? Eccolo qui, letto da me:
Anno del Signore 1602: la Riviera di Salò è uno dei territori più caldi della Serenissima.
Omicidi e agguati inondano di sangue le acque placide del Lago.
Vige la legge del più forte.
Contrabbandieri, banditi e spietati cacciatori di taglie si affrontano sotto gli occhi impotenti delle autorità veneziane.
Bravi e disertori proteggono possidenti senza scrupoli e le loro proprietà.
Nulla sembra poter fermare gli scontri sanguinosi tra le famiglie dei mercanti del luogo, tra cui la famiglia dei Beatrice.
E fu per questo che Venezia stanca di questi continui disordini nel suo entroterra inviò ingenti truppe che il 17 agosto 1617 uccisero il bandito più temibile: Zanzanù, al quale la vox populi arrivò ad attribuire addirittura duecento efferati omicidi commessi fra il 1602 e il 1617.

Questo racconta la storia.
Ma, andò davvero così?
In realtà, come hanno accertato illustri storici, Zanzanù uccise assai meno persone e non per vana crudeltà, ma in un contesto di faide familiari scoppiate fra i Beatrice e i Sette di Monte Maderno. Dunque, egli divenne fuorilegge per difendere il proprio onore e anche per vendicare la morte del padre ucciso a tradimento, a seguito di un agguato creato ad arte con l’inganno di stipulare una pace tra le due famiglie.
In realtà, quindi, la vicenda di Giovanni Beatrice, è il dramma di un uomo divenuto bandito per aver difeso il proprio nome.
In realtà, Zanzanù, divenne assassino solo per aver vendicato l’ignobile omicidio del padre, divenne fuorilegge per essersi opposto ad una giustizia che di giustizia aveva ben poco.
Zanzanù è una figura ambigua, insomma, la cui rivolta contro l’ordine sociale dell’epoca gestito da persone che veramente non avevano che a cuore che i propri interessi, ha naturalmente fatto nascere un parallelismo con Robin Hood.
Anche Zanzanù, era detestato dai signorotti locali che senza pietà spadroneggiavano vessavano la popolazione con tasse e cattiverie.
Egli derubava i viandanti e assaltava le barche di passaggio, ma per difendere la gente comune. E proprio dalla gente comune, spesso, Zanzanù veniva nascosto e protetto, rifocillato con cibo e munizioni.

Quando nell’agosto del 2011 arrivammo nel santuario di Montecastello, vicino a Tignale, con tutta la compagnia dell’Archibugio composta da attori e musici, tra cui me, il vostro soprano free lance preferito, la verità sulla storia di Zanzanù, quella che vi ho appena raccontato, ancora non era stata rivelata.

Eh, sì, perchè tuttora, sulla riviera, se un bambino fa il cattivo gli vien detto “Varda che vien Zanzanù a torte” (Guarda che viene Zanzanù a prenderti).
Dopo aver percorso una strada irta e piena di tornanti, ci trovammo di fronte a un panorama mozzafiato. Un bianco santuario di pietra che si ergeva sul cucuzzolo di uno sperone di montagna, il portale d’ingresso era decorato da due ampie scalinate.

Tutto intorno la Riviera del Garda e, da quella posizione, si può dominare perfettamente ogni centimetro della costa.
Un panorama con verdi boschi prominenti sul lago, precipizi e le rocce, insenature e quell’indimenticabile azzurro dell’acqua del lago che rifletteva un terso cielo limpido d’agosto.

Dentro il santuario della Madonna di Montecastello potemmo finalmente ammirare, tra i numerosi e antichissimi ex voto conservati, il quadro commissionato dal podestà del Comune al pittore bresciano Giovanni Andrea Bertanza, classe 1570, dopo che proprio Tignale nell’agosto 1617, era stata “liberata” dalla minaccia di Zanzanù.
Il quadro nel santuario ritrae gli ultimi drammatici istanti di vita del “bandito del lago”, in quello che è definito il più grande ex voto d’Italia, forse d’Europa.
La precisione dei dettagli ha fatto ipotizzare che anche il pittore, Bertanza, avesse preso parte in prima persona alla caccia e all’uccisione del cosiddetto fuorilegge, e che, addirittura, si fosse autoritratto nel personaggio che rivolge uno sguardo incredulo a chi osserva il dipinto.
Davanti a quella scena di battaglia il vostro soprano freelance ebbe un sussulto.
Una cosa, infatti, mi colpì in particolare, nonostante il dipinto sia conservato in buone condizioni il volto di chi uccise Zanzanù è stato cancellato, graffiato, tolto, dal dipinto, e se ne vedono solo gli stivali e l’archibugio: sul motivo di questa
cancellazione storica si possono fare solo ipotesi.. di sicuro dopo una furiosa e ìmpari sparatoria il 17 agosto Giovanni Beatrice venne ucciso, con due colpi di archibugio alle spalle dalle truppe di Venezia.
Tra i colori e la tela, proprio lì, nel quadro di Bertanza, si consuma un mistero in cui è avvolta la storia della morte di Zanzanù che stravolge la realtà narrata degli eventi, fino a quella serata di dieci anni fa.

Zanzanù, dunque, chi è stato?
Fu un bandito cattivo che seminò morte e distruzione contro Venezia nella riviera del Garda nei primi anni del Seicento, come racconta la storia?
Oppure, in realtà, fu un uomo mosso da nobili principi che dopo aver perso la sua battaglia contro i potenti ha subito quello che chissà quanti personaggi della storia subiscono, hanno subito e subiranno, cioè, il cambiamento dell’intento, la trasfigurazione, attraverso la menzogna, da buono a cattivo.
Guardando quell’immagine ebbi una vertigine, ogni baluardo di verità a cui ciascuno di noi si aggrappa per costruire la sua posizione nella storia traballò, miseramente, sotto i colpi del dubbio.
Quante volte la memoria delle azioni viene modificate per salvaguardare il potere? Cambiando la memoria, infatti, si cambia la storia e cambiando la storia si può imporre una verità di comodo.

Finita la visita al santuario, approntammo lo spettacolo, le quinte divennero le cantine della chiesa.

Le imponenti scalinate parte della scena e, dopo mesi di prove, eravamo pronti a raccontare la verità.

Quando tramontò il sole e si accesero le luci della ribalta, la mia voce, accompagnata dal liuto, fece da colonna sonora a uno spettacolo che, si percepiva nell’aria, teneva col fiato sospeso ciascuno dei partecipanti.

Il pubblico tignalese sospeso sul lago, incredulo, ascoltava una storia che mai avrebbe immaginato.
Tutti gli abitanti della cittadina e dei dintorni, erano venuti ad ascoltare i racconti del bandito Zanzanù, ignari del fatto che, invece, avrebbero viste rappresentate le vicende dell’uomo Zanzanu, di Giovanni Beatrice, che aveva difeso la famiglia e quei luoghi e quella gente, strenuamente, dalla cattiveria dei potenti, a costo della sua stessa vita.
Il fatto più incredibile, però, avvenne al termine dello spettacolo di quel fantastico 17 agosto di 10 anni fa.
Sul palco era rimasto solo Giuseppe, l’attore che impersonava Zanzanù, per il monologo finale quello in cui egli, a voce sola, sanciva nel buio e sotto le stelle, definitivamente, una realtà storica per secoli occultata.

Ebbene a metà del monologo una folata di vento gelido attraversò la scena e i capelli del pubblico silente, una folata del tutto inaspettata che ci fece rabbrividire.
Poi, qualche secondo dopo, le luci svanirono come per un calo di tensione e gli attori, io e il pubblico fumo immersi in un buio profondissimo, teatro e, catartico, insieme.
L’attore ebbe la forza d’animo di continuare il suo monologo lì nel buio, e di raccontare a tutti la verità.
Una verità che risuonò dentro il cuore di ognuno degli astanti come il colpo di una spada affilata che con furore aveva reciso le trame dell’inganno.
Sotto quella volta stellata, l’incantesimo della menzogna ordita quattro secoli orsono era stato, finalmente, spezzato.

Terminato il monologo la luce come per magia ritornò su tutti noi e da lontano dall’altra parte del Lago, durante il brevissimo, lungo e attonito silenzio prima dell’applauso, si udirono due colpi di archibugio.
Non era certo un effetto che il regista aveva programmato, ma questo il pubblico, credo, non lo saprà mai.

Chi sparò quei colpi? Come mai la luce andò via proprio in quel momento?
come è possibile un vento gelido in pieno agosto fosse arrivato lassù, nel santuario di Montecastello, dove Zanzanù era stato ucciso? Era forse il suo fantasma che voleva dirci qualcosa? Forse voleva ringraziarci?
Si dice che, nel tempo dell’inganno universale, dire la verità sia un atto rivoluzionario.
E a chi m’accusa di dire il falso, beh, non posso dar colpe, ho molti testimoni.

La verità è difficile da guardare in faccia, è difficile ammettere che i potenti tramino ogni giorno alle spalle della povera gente che, solo, cerca una vita serena e giusta.
Ah, non sembra ma, come è facile per questi potenti cambiare la storia e far sembrare i buoni cattivi e i malvagi i salvatori.
Vacillando i punti saldi della nostra vita tranquilla, a chi dobbiamo credere se non ascoltare la voce dentro di noi che ci indica la strada?
La verità, signori, la verità è come la luce, fende il buio più oscuro e irrompe con tutta la sua forza anche a distanza di secoli.

E, sappiate, che da dieci anni in quelle terre della riviera lì nel santuario di Montecastello a Tignale, quasi come un rito di purificazione, lo spettacolo viene messo in scena ogni terza settimana di agosto, ed anche quest’anno, 2021, sarà così.
Ed io sono felice di aver preso parte a questa magnifica avventura.

Se volete, gentile pubblico, cercate la verità sempre con la guida del cuore, perché la verità è un atto di ricerca volontaria che deve vincere la paura dell’ignoto.
Perché niente è più oscuro del vivere nella menzogna.
Quella del 17 agosto, dunque, è una notte particolare, la notte in cui si celebra la verità del bandito Zanzanù, di Giovanni Beatrice.

“Se volete, cercatemi in questo quadro, ma non mi troverete.
Se volete in queste notti d’agosto guardate ai monti, guardate al lago.
Io resto qui dove sono nato e vissuto, dove ho combattuto e amato, dove sono morto, finchè non sarà giustizia, verità sul mio nome.
Accuse pesanti gravano su di me e, se in vita, non mi è stato dato modo di discolparmi, non intendo farlo ora da morto.
Lo faccia qualcun altro se ne ha voglia, lo faccia il tempo.
Dio vede nell’intimo del mio cuore e conosce le cause violente che mi portarono a certi eccessi.
Mi protegga Lui e mi dia rifugio come ha fatto sinora, che solo la Sua di giustizia mi è rimasta, almeno per ora”.
Alla prossima

PS Tra le tante compagnie teatrali con cui ho collaborato, gli amici del L’Archibugio sono quelli che porto con grande affetto nel cuore.
Un loro spettacolo va visto almeno una volta nella vita perché trattano la storia e le umane vicende con una rara e vitale originalità.

PS 2 Con il sostegno del Comune di Tignale e sulla scorta dei numerosi saggi pubblicati dallo storico Claudio Povolo (Università Ca’ Foscari – Venezia), la Compagnia L’Archibugio è impegnata da anni in un progetto di riscoperta della dimensione storica e umana del bandito Zanzanù. Visita il loro sito!
